Processo telematico e art. 153 comma 2 c.p.c.: la parte può chiedere al giudice di essere rimessa in termini – RLF Express 5-2024

Rimessione in termini del depositante in caso di errore a lui non imputabile: criticità e pronunce giurisprudenziali di merito e di legittimità.

Prima della recente pronuncia della Corte di Cassazione con la sentenza n. 32296 del 21 novembre 2023 destavano qualche perplessità le numerose pronunce di merito che si erano occupate con esiti diversi e talvolta imprevedibili, di accogliere, ovvero di rigettare, le istanze di rimessione in termini presentate dalle parti incorse in decadenza nel deposito eseguito telematicamente, a causa di un’anomalia, rectius un errore, non emendato prima del decorso del termine. Tali pronunce facevano emergere l’esigenza di indagare il coordinamento della legislazione in materia di processo telematico con il deposito di cui all’art. 153, 2° comma c.p.c., a tenore del quale “la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini”.

A tal proposito, si evidenza che a norma dell’art. 16 bis, 7°comma del D.L. 179/2012: Il deposito è tempestivamente eseguito quando la ricevuta di avvenuta consegna è generata entro la fine del giorno di scadenza”.

Una delle prime pronunce giurisprudenziali, resa dal Tribunale di Torino con l’ordinanza dell’11 giugno 2015, riguardava l’erronea indicazione, in fase di compilazione della busta, del numero di ruolo del procedimento.

Nel caso di specie, la parte nel giorno della scadenza del termine di cui all’art. 183 6°comma n. 2, depositava telematicamente la memoria, indicando erroneamente il numero di ruolo di un diverso fascicolo. Il giorno feriale successivo, la cancelleria rifiutava il deposito “anomalo” e la parte, avvedutasi dell’errore, rinnovava l’invio telematico, questa con corretto indirizzamento nel fascicolo di causa, ma intempestivamente, essendo nel frattempo scaduto il termine per il deposito delle memorie istruttorie. Ciò riassunto in punto di fatto, il Giudice del Tribunale di Torino riteneva che la parte non potesse essere rimessa in termini, costituendo l’errata indicazione del numero di ruolo un errore imputabile alla sfera del depositante.

Di avviso contrario, invece il Tribunale di Pescara, con l’ordinanza del 2 ottobre 2015, chiamato a pronunciarsi su di un’analoga fattispecie, giunse alla diversa conclusione, rimettendo in termini la parte ritenendo che l’erronea indicazione del numero di ruolo andava considerata come un “semplice errore materiale, e come tale non meritevole di essere sanzionato con una decadenza processuale”, precisando che la parte andava considerata come “incorsa in una decadenza per causa imputabile essenzialmente ad un difetto del predetto sistema, e che la cancelleria avrebbe dovuto rimediare ad un banale errore materiale o segnalare lo stesso tempestivamente al depositante”.

Nella stessa direzione si sono pronunciati sia il Tribunale di Catania, con l’ordinanza del 28 gennaio 2015, e sia il Tribunale di Milano, con due pronunce, ordinanza del 10 maggio 2016 e decreto del 14 ottobre 2015, i cui giudici hanno ritenuto sussistere i presupposti della rimessione in termini in presenza di anomalie quali il deposito presso una sezione errata, e negli altri due casi agli esiti automatici recanti rispettivamente la causale “Errore imprevisto nel deposito. Sono necessarie verifiche da parte dell’ufficio ricevente” e “Documento XML non valido”.

In particolare, nel decreto del 14 ottobre 2015, il Giudice del Tribunale di Milano ha valutato anche la circostanza per cui “il ricorrente ha immediatamente depositato istanza di rimessione in termini, prima della scadenza del termine perentorio di riassunzione, e ben prima di ricevere prova dell’esito negativo del deposito telematico del ricorso”. Tale precisazione si pone in linea di continuità con il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale la rimessione in termini deve essere domandata dalla parte interessata, senza ritardo, e non appena essa abbia acquisito la consapevolezza di aver violato il termine stabilito dalla legge o dal giudice per il compimento dell’atto (Cass. N. 4841/2012).

E proprio sull’onere della parte decaduta di attivarsi repentinamente si fonda il rigetto di cui all’ordinanza del 16 dicembre 2015 del Tribunale di Napoli, dove il giudice a fronte di un’errata indicazione del numero di ruolo, rigetta l’istanza di rimessione in termini in quanto il depositante ben avrebbe potuto accorgersi dell’errore prima della scadenza del termine, e quindi rinnovare tempestivamente il deposito, infatti la parte aveva provveduto al deposito il giorno precedente la scadenza, ricevendo quindi in anticipo l’esito automatico riportante l’anomalia “Numero di ruolo non valido”.

Per quanto concerne l’onero probatorio, si può fare riferimento ai principi generali enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in applicazione dell’art. 153 c.p.c., secondo la Corte di Cassazione infatti la “la rimessione in termini, tanto nella versione prevista dall’art. 184 bis c.p.c. che in quella più ampia contenuta nell’art. 153 2°comma c.p.c., come novellato dalla legge 18 giugno 2009 n. 69, richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà (Cass. N. 23561/2011).

In merito si evidenzia che per tanto tempo, l’applicazione del combinato disposto dei menzionati principi con l’art. 16 bis 7°comma, del D.L. 179/2012, ha condotto a ritenere sufficiente la produzione delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna, sul presupposto che il deposito vada considerato tempestivo nel momento in cui la parte riceve il secondo messaggio di pec; di tenore diverso è il recente orientamento giurisprudenziale secondo cui la tempestività e la ritualità del deposito telematico è sospensivamente condizionato dall’esito positivo dell’intera procedura.

A tal proposito è emblematica l’ordinanza dell’08 ottobre 2015 del Tribunale di Milano, nel caso di specie la parte sosteneva di aver depositato telematicamente la memoria ex art. 426 c.p.c. nel rispetto del termine perentorio fissato dal Giudice e di non conoscere la causa per la quale la stessa non risulterebbe rinvenibile nel fascicolo telematico, allegando, a riprova della tempestività del deposito telematico, la ricevuta di avvenuta consegna. In merito il giudice ha ritenuto di rigettare l’istanza di rimessione in termini, in quanto l’attrice aveva omesso di depositare le ulteriori due ricevute previste dall’art. 13 comma 7 del D.M. 44/2011, ovvero “esito controlli automatici” e accettazione della cancelleria”, precisando che “nella fattispecie in esame, non avendo la difesa dell’attrice prodotto queste due ricevute, non è dato conoscere se si sia trattato di un errore del sistema oppure di un errore attribuibile all’attrice nella compilazione dell’atto per avere, per esempio, depositato la memoria per via telematica con un numero di R.G. diverso da quello corretto”.

Pertanto, sulla base di quanto esposto, si deduce che l’assolvimento dell’onere di dimostrare che il deposito per via telematica non si sia perfezionato per causa non imputabile alla parte istante, richieda la produzione non solo della ricevuta di avvenuta consegna, ossia il secondo messaggio di pec, ma anche delle ulteriori due ricevute previste dall’art. 13 comma 7 del D.M. n. 44/2011.

Infatti, in ossequio a quanto dedotto il Tribunale di Milano con ordinanza del 23 aprile 2016, ha confermato l’orientamento espresso con l’ordinanza dell’08 ottobre 2016, ed ha specificato che soltanto la terza ricevuta, ossia l’esito dei controlli automatici, potrà essere valutata come causa di non tempestivo deposito.

Mentre un’interpretazione maggiormente garantista delle prerogative difensive si rinviene nell’ordinanza del 10 maggio 2016 del Tribunale di Milano, la quale afferma che “il mittente non era in grado di apprendere, dalla terza ricevuta, la natura dell’errore riscontrato dal gestore, né la cancelleria ha provveduto, entro il giorno successivo ad accettare ovvero a rifiutare l’atto”. Evidenziando un duplice profilo, ovvero la difficoltà da parte del difensore di dedurre da una formula generica quale “Errore imprevisto nel deposito” o “Documento XML non valido” se l’anomalia a cui la ricevuta fa riferimento consti o meno un errore bloccante tale da inibire l’accettazione del deposito da parte della cancelleria; ed il notevole ritardo che spesso intercorre tra la data del deposito dell’atto e la ricezione della quarta ricevuta.

E da ultimo la recente pronuncia giurisprudenziale conferma tale orientamento, affermando con la sentenza n. 32296 del 21 novembre 2023, che nel processo telematico il depositante deve essere rimesso in termini in caso di errore a lui non imputabile, precisando che tale circostanza legittima il depositante al deposito dell’istanza di rimessione in termini ai fini della rinnovazione del deposito ove possa ritenersi che lo stesso sia incorso in una decadenza incolpevolmente a causa dell’affidamento riposto nell’esito positivo del deposito stesso.

Pertanto, in caso di esito negativo del procedimento culminante con l’accettazione da parte del cancelliere, cd. Quarta pec, la tempestività del deposito telematico di un atto processuale postula la necessità della sua rinnovazione, previa rimessione in termini ex art. 153 comma 2 c.p.c.

Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione con la già menzionata sentenza, con la quale è stato accolto il ricorso essendo stato accertato che nella fattispecie l’errore nel deposito era da ascriversi non al comportamento colposo del depositante, ma ad un difetto della firma digitale del giudice estensore della sentenza impugnata. Alla luce di quanto esposto, sebbene le prime pronunce giurisprudenziali penalizzassero il depositante, col passare del tempo l’utilizzo generalizzato del processo telematico ha determinato un atteggiamento più garantista delle prerogative difensive del depositante.

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