Nomofilachia della Cassazione: la “Clausola Euribor” non è nulla di per sé – RLF Express 15-24

I contratti di mutuo contenenti clausole che, al fine di determinare la misura di un tasso d’interesse, fanno riferimento all’Euribor, stipulati da parti estranee ad eventuali intese o pratiche illecite restrittive della concorrenza dirette alla manipolazione dei tassi sulla scorta dei quali viene determinato il predetto indice, non possono, in mancanza della prova della conoscenza di tali intese e/o pratiche da parte di almeno uno dei contraenti (anche a prescindere dalla consapevolezza della loro illiceità) e dell’intento di conformare oggettivamente il regolamento contrattuale al risultato delle medesime intese o pratiche, considerarsi contratti stipulati in “applicazione” delle suddette pratiche o intese; pertanto, va esclusa la sussistenza della nullità delle specifiche clausole di tali contratti contenenti il riferimento all’Euribor, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990 e/o dell’art. 101 TFUE”.

Le clausole dei contratti di mutuo che, al fine di determinare la misura di un tasso d’interesse, fanno riferimento all’Euribor, possono ritenersi viziate da parziale nullità (originaria o sopravvenuta), per l’impossibilità anche solo temporanea di determinazione del loro oggetto, laddove sia provato che la determinazione dell’Euribor sia stata oggetto, per un certo periodo, di intese o pratiche illecite restrittive della concorrenza poste in essere da terzi e volte a manipolare detto indice; a tal fine è necessario che sia fornita la prova che quel parametro, almeno per un determinato periodo, sia stato oggettivamente, effettivamente e significativamente alterato in concreto, rispetto al meccanismo ordinario di determinazione presupposto dal con-tratto, in virtù delle condotte illecite dei terzi, al punto da non potere svolgere la funzione obbiettiva ad esso assegnata, nel regolamento contrattuale dei rispettivi interessi delle parti, di efficace determinazione dell’oggetto della clausola sul tasso di interesse”.

In tale ultimo caso (ferme, ricorrendone tutti i presupposti, le eventuali azioni risarcitorie nei confronti dei responsabili del danno, da parte del contraente in concreto danneggiato), le conseguenze della parziale nullità della clausola che richiama l’Euribor per impossibilità di determinazione del suo oggetto (limitatamente al periodo in cui sia accertata l’alterazione con-creta di quel parametro) e, prima fra quelle, la possibilità di una sua sostituzione in via normativa, laddove non sia possibile ricostruirne il valore “genuino”, cioè depurato dell’abusiva alterazione, andranno valutate secondo i principi generali dell’ordinamento”.

Questi sono i principi enunciati, con sentenza n. 12007 del 3 maggio 2024, dalla Corte di Cassazione, nell’esercizio della sua funzione nomofilattica.

La Corte, innanzitutto, chiarisce che anche il consumatore finale, “che subisce danno da una contrattazione che non ammette alternative per l’effetto di una collusione “a monte”, ha a propria disposizione, ancorché non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori autori della collusione, l’azione di accertamento della nullità dell’intesa e di risarcimento del danno di cui all’art. 33 della L. n. 287 del 1990, azione la cui cognizione è rimessa da quest’ultima norma alla competenza esclusiva, in unico grado di merito, della corte d’appello”.

Successivamente, circoscrive il campo di intervento: “la questione di diritto da esaminare ha ad oggetto la validità delle clausole contrattuali che, al fine di determinare il tasso di interesse, moratorio o convenzionale, relativo ad obbligazioni assunte dalle parti, facciano espresso riferimento (in tutto o in parte) al parametro costituito dall’Euribor (EURo Inter-Bank Offered Rate:

Tasso interbancario di offerta in Euro; si tratta di un tasso di riferimento per i mercati finanziari, calcolato giornalmente, che indica il tasso di interesse medio delle transazioni finanziarie in Euro tra le principali banche europee; non ha rilievo, ai fini della presente decisione, illustrare in dettaglio i complessi meccanismi previsti per la sua concreta determinazione)”.

Gli Ermellini si soffermano su due questioni preliminari e prodromiche:

  1. I contratti di mutuo che fissano tassi di interesse con rinvio al parametro costituito dall’Euribor, possono considerarsi contratti cd. “a valle” rispetto alle intese (o, più precisamente, alle pratiche) restrittive della concorrenza dirette ad alterare l’Euribor, a condizione che uno dei contraenti sia a conoscenza dell’esistenza di quella determinata intesa (o pratica non negoziale), con un determinato oggetto e un determinato scopo e intenda avvalersi del risultato oggettivo della stessa. Dunque, per i contratti di mutuo stipulati da istituti bancari è necessaria “l’allegazione e la prova che la banca stipulante, al momento della conclusione del contratto, fosse o direttamente partecipe di quell’intesa o, almeno, fosse consapevole della sussistenza di una intesa tra altre banche volta ad alterare il valore dell’Euribor o di una effettiva pratica non negoziale in tal senso ed abbia inteso avvalersi dei risultati di questa”. Per semplificare, occorre il dolo nella contrattazione a valle per ricorrere al rimedio di cui all’art. 2 della L. n. 287 del 1990 ed all’art. 101 TFUE (nullità assoluta), provando che la banca fosse partecipe o almeno consapevole dell’intesa.
  • L’alterazione dell’Euribor, a causa di condotte illecite di terzi, rispetto alle quali i contraenti sono estranei, incide sulla validità del regolamento negoziale nei termini che seguono.

Nelle ipotesi in esame, il concreto assetto di autoregolamentazione degli interessi delle parti è integrato, secondo la loro stessa volontà, dal riferimento ad un parametro esterno, non del tutto casuale e non totalmente aleatorio, ma di cui è noto il meccanismo ordinario di determinazione che, in tal modo, assume la natura di un vero e proprio presupposto del regolamento contrattuale, in quanto idoneo a individuare l’oggetto della clausola di determinazione del corrispettivo (o quello di una penale), benché non ne sia prevedibile ex ante il risultato finale concreto. Si tratta di una clausola certamente valida, sotto il profilo della regolare formazione della volontà negoziale e della liceità, possibilità e determinabilità dell’oggetto del contratto”. “Laddove, però, si accerti che il parametro richiamato sia stato alterato da una attività illecita posta in essere da terzi, viene meno il risultato, almeno parzialmente prevedibile, del meccanismo costituente il presupposto del riferimento al parametro esterno voluto dalle parti”.

In tali ipotesi, “l’oggetto della clausola contrattuale, se il valore “genuino” e non alterato del dato di riferimento esterno non sia ricostruibile, sarà di impossibile determinazione e la clausola stessa dovrà ritenersi viziata da parziale nullità (originaria o sopravvenuta, a seconda dei casi), limitatamente al periodo in cui manchi il predetto dato”.

I rimedi negoziali esperibili sono quelli dell’ordinamento interno, non potendosi invocare la normativa sovranazionale in materia di concorrenza.

Per quanto innanzi argomentato, “la cd. “clausola Euribor” – anche in caso di accertamento di pratiche illecite dirette ad alterare il suo valore – non può dirsi di per sé nulla, in generale, perché costituente “applicazione” di un’intesa illecita e vietata restrittiva della concorrenza (salvo il solo caso in cui almeno uno dei contraenti abbia consapevolmente inteso avvalersi degli effetti dell’illecita alterazione, al momento della stipula)”.

Pertanto, ai fini della dichiarazione di nullità parziale della “clausola Euribor” di un contratto di mutuo va fornita la prova (da parte di chi allega l’invalidità della stessa):

  • dell’esistenza di un’intesa illecita volta ad alterare il parametro in questione;
  • che quella intesa abbia raggiunto il suo obiettivo e, quindi, quel parametro sia stato effettivamente “alterato” in concreto.

L’accertamento dell’alterazione del parametro in questione va compiuto valutando poi in concreto:

a) se le pratiche manipolative anticoncorrenziali poste in essere dal cartello (nella specie, quello delle banche sanzionate dalla Commissione Europea) abbiano alterato effettivamente l’Euribor e non siano rimaste a livello di mero tentativo (senza, cioè, raggiungere lo scopo di alterare in concreto quel tasso, come infine fissato);

b) se e per quale tempo ed in quale misura tale alterazione abbia inciso in modo significativo sulla determinazione del tasso di interesse previsto dalle parti nel singolo contratto;

c) quali siano le conseguenze della eventuale nullità parziale delle relative clausole sul complessivo assetto negoziale e sulla possibilità di una sostituzione automatica – ed in quali termini – con previsioni minimali di legge”.

Gli Ermellini, infatti, sostengono che la decisione della Commissione Europea del 4 dicembre 2013 rimane prova privilegiata di un’intesa illecita (come statuito dalla sentenza della Cass. n. 34889 del 2023), ma dovrà essere supportata dagli ulteriori elementi probatori di cui innanzi.

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