Iscrizione all’Albo degli Intermediari Finanziari e legittimità del recupero crediti da parte dei servicer. Un dibattito giuridico in evoluzione – RLF 11-2024

La recente ordinanza della Corte di cassazione n. 7243 del 18 marzo 2024 – che abbiamo già analizzato in un precedente articolo che è possibile recuperare al seguente link – ha sollevato questioni cruciali riguardo all’iscrizione all’albo degli intermediari finanziari autorizzati, come previsto dall’art. 106 del Testo Unico Bancario (T.U.B.).

Tuttavia, l’interpretazione fornita dalla Suprema Corte non è recepita e condivisa uniformemente dai Tribunali italiani.

In primis, il Tribunale di Modena, con successiva ordinanza del 26 marzo 2024, ha trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica, suggerendo che l’attività del servicer non iscritto potrebbe costituire un abusivo esercizio di attività finanziaria.

Pur escludendo l’applicazione della nullità virtuale ex art. 1418 c.c., il Tribunale modenese ha ritenuto che le sanzioni previste per la mancata iscrizione siano da applicare in virtù di una “diversa previsione di legge“.

Da ultimo, invece, il Giudice dell’Esecuzione del Tribunale di Viterbo, con una recentissima ordinanza del 03 aprile 2024, ha addirittura sospeso una procedura di esecuzione immobiliare promossa da un servicer non iscritto, sostenendo che la pronuncia della Cassazione n. 7243/2024 debba intendersi “fallace” e in contrasto con i principi espressi dalla stessa Corte di Cassazione a Sezioni Unite.
Di fatto, secondo il Tribunale viterbese l’art. 2, comma 6, della Legge 30 aprile 1999, n. 130, e l’art. 106 T.U.B. sono norme imperative che vietano direttamente e/o indirettamente la stipula di contratti di riscossione di crediti in determinate condizioni, riservando tale attività ai soli soggetti iscritti all’albo degli intermediari finanziari.

Tale contrasto in atto va a toccare questioni fondamentali del diritto bancario e finanziario italiano.

L’art. 106 T.U.B. stabilisce che l’attività di intermediazione finanziaria può essere svolta esclusivamente da soggetti iscritti in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia.

Questo requisito di iscrizione serve a proteggere gli interessi di chi ha acquistato titoli dalle società veicolo, assicurando che la riscossione sia effettuata da professionisti qualificati.

La Legge 30 aprile 1999, n. 130, e in particolare il suo art. 2, comma 6, enfatizza l’obbligatorietà dell’iscrizione all’albo per coloro che intendono esercitare l’attività di riscossione crediti.

Il contrasto si è sviluppato intorno a precedente pronuncia della Corte di cassazione a Sezioni Unite – precisamente Sentenza n. 8472/2022 – che ha sottolineato come le norme imperative non riguardano solo la struttura o il contenuto dei regolamenti, ma anche quelle che vietano direttamente o indirettamente la stipula di contratti in determinate condizioni.

Il dibattito giuridico in corso evidenzia la necessità di un chiarimento normativo in materia.

Mentre la stessa Corte di Cassazione tende a limitare l’incidenza della mancata iscrizione all’albo al solo rapporto con le autorità di vigilanza, alcuni Tribunali italiani, su orientamento della stessa Suprema Corte, adottano una visione più restrittiva, sottolineando l’obbligatorietà delle norme di iscrizione come misura di tutela dei risparmiatori e della stabilità dei mercati finanziari.

In assenza di una normativa chiara e univoca, le decisioni giudiziarie continueranno a oscillare tra una visione pubblicistica e una civilistica delle norme in questione, creando incertezza e complessità nel settore del recupero crediti cartolarizzati.

Pertanto, è auspicabile un intervento del legislatore o della stessa Corte di Cassazione al fine di risolvere il contrasto giurisprudenziale creatosi, così da fornire una guida chiara e uniforme per l’intero settore, al contempo, garantendo una maggiore certezza del diritto e una tutela efficace dei diritti dei creditori e dei risparmiatori.

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